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La cultura Vedica - 3
La
cultura vedica – 3
Sutra:
i Sutra (termine derivato dal verbo sutr- “comporre”)
costituiscono l’ultima parte della produzione letteraria
religiosa del periodo vedico e sono, nella sostanza, il succo delle
regole religiose, giuridiche, morali, vigenti nella società
brahmanica, giacché è convinzione propria del mondo
indiano che ogni aspetto della vita, anche quello apparentemente più
profano, sia in realtà strettamente connesso alla religione
Purana:
in sanscrito la parola purana è un aggettivo
qualificativo che significa “antico” e che si usa, con la
lettera maiuscola, per indicare in generale i racconti delle origini.
I più antichi Purana sembrerebbero risalire al VI sec.
d.C. e secondo la tradizione sono diciotto (numero sacro che ricorre
anche nel poema epico più importante della letteratura
indiana, il Mahabharata, al quale i testi puranici si sono
certamente ispirati, essendo questo più antico): ad essi si
sono poi aggiunti numerosi Upapurana o “sottopurana” di
epoca più recente. I Purana raccolgono un vasto materiale
eterogeneo e nascono in realtà come testi sacri di questa o di
quella setta induista; tuttavia, sarebbero cinque le caratteristiche
contenutistiche necessarie perché un testo possa essere
classificato come parte del corpo dei Purana: la trattazione
del tema della creazione (sarga), del rinnovo della creazione
(pratisarga) in seguito alla periodica distruzione del cosmo,
della genealogia degli dei e dei rishi (vamsha), del periodo
dei Manu (manvantarani), ovvero dei progenitori del
genere umano che popolano la terra a ogni nuova creazione, infine
delle gesta delle dinastie (vamshanucarita).
In
sintesi i Purana sono storie cosmogoniche (che spiegano in
vari modi la genesi del cosmo) e dell’umanità, condite
da leggende fantasiose, ma anche arricchite da indicazioni precise e
dettagliate sui doveri delle caste, per esempio, sul rituale, etc…
Una
parte recente dei Purana è costituita poi dai
cosiddetti Mahatmya, testi dedicati ad una singola divinità,
ma secondo alcuni “particolari” tipi di Purana
potrebbero essere considerati i tantra, testi utilizzati dalle
sette degli Shakta (devoti alla Shakti, la sposa di
Shiva) diffusi soprattutto nel Bengala, e testi puranici
possiedono anche i buddhisti ed i jaina, membri di un movimento
filosoico-religioso sorto contemporaneamente al buddhismo (VI-V sec.
a.C.) ad opera del fondatore Jina (il “Vittorioso), che
oggi conta in India almeno tre milioni di fedeli.
Tantra:
il termine deriva dalla radice tan- “tendere” e
tra- “salvare”: la radice tra- alluderebbe
metaforicamente all’ordito della tela, alla “trama”
con cui lentamente si tesse l’opera letteraria, proprio come
una tela, intrecciando le parole secondo un ordine e un senso
compiuto. Tantra equivale quindi, secondo la celebre
definizione fornita dallo studioso Mircea Eliade, a “ciò
che espande ed estende la conoscenza”
Come
i Purana i tantra sono testi relativamente recenti, se
si pensa che il movimento di pensiero (tantrismo) che ha
ispirato la composizione delle opere si colloca nel V sec. d.C. (in
una fase storica che per l’Europa corrisponde all’inizio
del Medioevo) ad opera dei fondatori Nagarjuna ed Asanga.
I
contenuti filosofici che sono alla base di questo innovativo
orientamento denominato Tantrismo sono comunque di origine più
antica rispetto agli stessi testi che hanno semplicemente
sistematizzato e codificato in epoca più recente elementi e
pratiche ritualistiche per buona parte di provenienza non
indoeuropea.
I
tantra sono considerati testi dipendenti dalla smirti, “tradizione”,
contrapposta alla shruti, “rivelazione” che per opera
dei rishi aveva dato vita ai Veda, i testi sacri per eccellenza. La
smirti, letteralmente”ricordo”, è l’insieme
delle prescrizioni rituali non rivelate, ma elaborate dalle scuole
sacerdotali in epoca più recente. I tantra sono in genere
opere anonime e piuttosto lontane dall’ortodossia vedica, in
quanto, rispetto alle norme stabilite dai Veda, indicano agli adepti
un percorso spirituale di liberazione e di affrancamento dal mondo
terreno che non mortifica né rinnega la materia, ma piuttosto
trasforma la materia in un veicolo di sovrumana conoscenza (a
dispetto del disprezzo che gli asceti manifestavano nei confronti di
ogni sorta di “piacere” che non fosse di natura
strettamente spirituale). L’uomo non ha bisogno di sottrarsi
alla propria carnalità o materialità per elevarsi
spiritualmente e sottrarsi alla impietosa legge karmica: una nuova
via si può percorrere per raggiungere la conoscenza, quella
della conoscenza che si sostanzia dell’esperienza nella sua
molteplice varietà di espressioni. L’unione con
l’assoluto e l’elevazione spirituale, mete della nostra
evoluzione individuale, sono possibili risvegliando le energie
latenti dell’uomo attraverso, per esempio, l’unione
sessuale considerata nella filosofia del tantra manifestazione
dell’unione sacra tra Shiva e Shakti che con il loro amplesso
cosmico danno vita alla creazione.
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