 |
Introduzione al Sanscrito
Il
sanscrito: le origini indoeuropee e la sua evoluzione
Il
sanscrito (termine derivato dall’agg. sam-skrta, che
significa “elaborato”, “perfezionato”)
appartiene al ceppo linguistico indoeuropeo.
Con
il termine indoeuropeo (i.e) si suole designare l’idioma(o
secondo alcuni studiosi la serie di idiomi) di gruppi tribali di
pastori nomadi che, in epoca preistorica, vivevano nelle steppe
dell’Asia centrale. Cause imprecisate, tra le quali
probabilmente la necessità di reperire nuovi pascoli, le
mutazioni climatiche, la pressione esercitata da altri popoli per la
conquista di territori più fertili, indussero le tribù
di lingua indoeuropea in un’epoca non definita a migrare in
direzioni diverse e a stanziarsi in un’area territoriale
estesasi progressivamente dall’Asia (“culla originaria”)
all’Europa. La sincresi culturale e linguistica determinata
dalla fusione tra i popoli conquistatori di lingua i.e e i popoli
militarmente assoggettati (non indoeuropei) furono all’origine
delle civiltà e delle lingue attestate storicamente in buona
parte del sud-est asiatico e in Europa (con l’eccezione di
alcune “isole linguistiche” circoscritte).
Si
può ritenere verosimilmente che le lingue storiche note siano
il frutto della trasformazione, nei secoli, di un’unica lingua,
l’ie, alla cui teorica ricostruzione la linguistica comparata è
pervenuta solo nel corso del sec. XIX.
Ecco
un rapido elenco delle principali lingue e “famiglie”
linguistiche di origine i.e:
Indoario:
annovera al suo interno il sanscrito e l’iranico, noti ambedue
a partire dalla metà del I millennio a.C.
Armeno
Anatolico
(da cui deriveranno le parlate diffuse nell’area
corrispondente all’attuale Turchia)
Tocario
(distinto nelle varianti A e B e diffuso nell’area del
Turchestan cinese)
Italico
(la cui lingua più rappresentativa è il latino, dal
quale deriveranno le lingue neo-latine o romanze: italiano,
francese, spagnolo, portoghese)
Celtico
( da cui deriveranno le lingue del gruppo anglo-sassone)
Germanico
(darà vita al tedesco e a tutti gli idiomi affini)
Balto-slavo
(darà origine alle principali lingue dei paesi dell’Est
europeo, tra cui il russo)
Greco
Albanese
Il sanscrito, appartenente al
gruppo linguistico indoario, rappresenta in realtà una fase
evoluta del più antico vedico, una lingua la cui attestazione
è riconducibile in sé e per sé prevalentemente
al Rgveda o Veda dei rc, “inni”, il più antico dei
quattro testi sacri dell’India (XVI-XI sec. a.C.). Per quanto
concerne l’aspetto fonetico vedico e sanscrito non presentano
alcuna differenza. La morfologia, invece, si è lentamente
differenziata e semplificata nel sanscrito che presenta innovazioni
rilevanti anche sul piano lessicale. Il sanscrito classico altro non
è che la lingua evoluta dal suo stadio iniziale rappresentato
dal vedico, regolata e codificata, almeno inizialmente, dall’uso
dei brahmani, i membri della casta sacerdotale indiana.
La
forma definitiva e sistematica del sanscrito classico fu sancita poi
dall’opera di Panini (IV sec. a.C.), autore della più
antica e sintetica grammatica del mondo: l’ “Asthadhyayi”,
la grammatica in 8 capitoli. Da Panini in poi il sanscrito si
codificò come la lingua dotta dell’India e in questa
lingua sono state composte le più importanti opere letterarie
e poetiche prodotte: le opere epiche, Mahabharata e Ramayana (III
sec. a.C.), i drammi di Kalidasa e i versi dei più importanti
poeti vissuti tra il IV-X sec. d.C., le opere novellistiche,
filosofiche, etc…
Parallelamente al sanscrito, la
lingua colta per antonomasia, si svilupparono dal vedico originario
anche i cosiddetti “prakrti” (da prakrta, lett.
“naturale”) o “volgari”, lingue parlate cioè
dal popolo, mentre il sanscrito continuò ad essere la lingua
riservata all’uso dei brahmana e degli ksatriya (la potente
casta guerriera):esso non costituì mai una lingua unitaria
all’interno dell’India, ma rimase appannaggio esclusivo
di un’elité sociale al punto che, ancora oggi, i dotti
pandit indiani ed i brahamana si avvalgono del sanscrito come canale
privilegiato di comunicazione sia nella forma orale, sia nella forma
scritta.
Il sanscrito è certamente
una lingua complessa: il suo alfabeto consta di 48 lettere e ciascun
grafema corrisponde ad un suono, vocalico o consonantico, della
lingua parlata. La trascrizione dei fonemi si avvale di una forma di
scrittura antichissima, la Nagari o “scrittura urbana”
nota anche come Devanagari “scrittura urbana degli dei”,
fissata nella sua forma canonica intorno alla metà dell’VIII
sec. d.C. Tale forma di scrittura pare sia una derivazione, in
realtà, dalla più antica scrittura Brahmi o “scrittura
di Brahma” in uso già nel III sec. a.C. e considerata, a
sua volta, un adattamento all’originaria scrittura semitica
introdotta nell’India nord-occidentale, attraverso la
Mesopotamia, nell’VIII sec. a.C. Attualmente l’alfabeto
devanagari è in uso, per la trascrizione del sanscrito, nella
regione settentrionale della penisola, mentre altrove e in
particolare a Sud, dove il ceppo linguistico originario non è
ario, sono in uso le grafie locali.
[ Indietro ] |
 |